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Kindle Otto Elementi Tomo 2.png

Estratto

Capitolo 20

Decisione importante

Uccidilo.

Non riusciva a togliersi quell’ordine dalla testa. Era come un marchio a fuoco, che una volta impresso, non andava più via in alcun modo. Non riusciva a credere di aver ricevuto un ordine del genere. Quando gli aveva inviato il messaggio, era sicuro che gli avrebbe richiesto al massimo di osservare la situazione, o di verificare che potesse rappresentare un pericolo effettivo.

Uccidilo.

A Trozar non piaceva per niente l’idea. Certamente, era un comandante dell’esercito di Egril, per cui togliere una o più vite, faceva parte del suo mestiere. Ma cercava in tutti i modi di evitarlo, quando poteva. Si sentiva in colpa ogni volta. Pensava alle centinaia di vite che aveva spezzato, alle famiglie che aveva distrutto, ai figli che aveva lasciato orfani e le coppie a cui aveva strappato l’amore, per colpa delle sue azioni. Ogniqualvolta andava in guerra, per non rimanere paralizzato dalla paura e dal senso di colpa, pensava che se non avesse ucciso lui per primo, avrebbero fatto lo stesso con la sua famiglia, i suoi figli, i suoi amici. Sarebbe andato contro l’imperatore stesso, se solo qualcuno avesse sfiorato i suoi cari. Era più facile, quando dall’altra parte c’era un cattivo senza volto che avrebbe infestato il mondo con il suo male. Era una maniera estremamente semplice di vedere le cose, forse anche infantile, o ingannevole, ma quel pensiero lo spingeva ad andare avanti. Si sentiva meglio quando pensava a sé stesso come un protettore, colui che difendeva il proprio paese e i propri cari da malvagi sconosciuti che avrebbero potuto ucciderli. Quel pensiero lo risollevava, persino quando era sicuro che dall’altra parte fosse lui a interpretare quel ruolo.

Uccidilo.

Adesso era costretto a farlo. Non voleva, ma ormai l’ordine gli era stato dato. Rhodes IV non l’avrebbe mai perdonato se avesse fallito e la sua vendetta sarebbe stata tremenda. Avrebbe avuto un’unica opportunità e non poteva permettersi di sprecarla.

Aveva attraversato il portone di pietra in testa alla carica. Gli egriliani davanti a lui stavano cadendo uno dopo l’altro, i loro scudi si stavano riducendo in piccoli e inutili cubetti di ghiaccio. I raqiani li stavano accerchiando e i loro attacchi diventavano sempre più numerosi e furiosi. Le sfere infuocate e le vampate di fiamme divampavano tutte intorno alle armature nere. Non avrebbero resistito ancora a lungo. Al centro, difeso da quattro soldati egriliani, c’era lui, accasciato a terra con la tunica nera che era solito indossare.

Adesso non era il momento di pensare, ma di agire.

Trozar, seguito a ruota dal resto dell’esercito, corse più veloce che poté, armato di un gigantesco scudo nero e la sua fidata ascia bipenne, che riusciva a brandire con una mano, malgrado fosse molto pesante. Il suo elmo gli schiacciava il naso, ma lo aveva protetto in decine di battaglie a cui aveva preso parte. Il suo passo non risentiva minimamente del peso che si portava addosso. Il suo cervello era fisso verso un solo pensiero.

Uccidilo.

Quella breve distanza, quei dannatissimi trenta metri da percorrere tra l’entrata e il punto in cui il generale era caduto, sembravano come un infinito corridoio di cui non si sarebbe mai vista la fine.

Non riusciva a sentire il calore che proveniva dai proiettili di fuoco, il cui vento sprigionato gli sferzava il volto. Non sentiva la durezza del pavimento di pietra, contro cui i suoi piedi picchiavano violentemente con i passi pesanti. Non percepiva nemmeno i compagni alle sue spalle che correvano come dei forsennati, seguendo l’esempio del loro comandante. Le loro urla d’incitamento e d’esaltazione erano deboli, ovattate e le loro parole erano vuote. L’unica cosa che riusciva a percepire era solo la sua testa che pulsava con violenza e il suo corpo che sembrava muoversi da solo.

Dopo quello che sembrò un’eternità, aveva finalmente raggiunto il generale.

Adesso, o mai più! fu l’unica cosa che riuscì a pensare in quel momento.

Sguainò l’ascia e con tutta la forza che aveva in corpo, mulinò un fendente e lo colpì sul braccio, staccandoglielo di netto.

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